Un interessante articolo tradotto da Come Donchisciotte che evidenzia come il decadimento e l’estinzione di alcuni popolazioni del passato spesso fu dovuto alla auto-distruzione del territorio in cui queste popolazioni vivevano.
“Questa Volta porteremo con noi l’intero pianeta”
Parecchi anni fa l’isola di Pasqua era un microcosmo modello per l’intero pianeta. Proprio come il Pianeta Terra, l’isola era un sistema isolato. Le persone lì credevano di essere gli unici sopravvissuti sul globo, dato che tutto il resto era sprofondato sotto il mare. Hanno portato avanti per noi l’esperimento di una crescita della popolazione senza limiti, di un uso smodato delle risorse, la distruzione del loro ambiente e la fiducia illimitata nella loro religione per prendersi cura del futuro. Il risultato è stato un disastro ecologico che ha portato ad un collasso della popolazione.
Dobbiamo ripetere l’esperimento su scala più vasta come la Terra? Dobbiamo essere cinici come Henry Ford e dire, “La storia è tradizione”? Non sarebbe più sensato imparare la lezione dalla storia dell’isola di Pasqua e applicarla sull’isola Terra su cui viviamo?”.
Già, nell’isola di Pasqua la situazione non era molto diversa da oggi. Gli abitanti, quando per la prima volta si insediarono sull’isola di 64 miglia quadrate nel 5° secolo, trovarono abbondanza di acqua e foreste di palma del vino cilena, un albero che può raggiungere le dimensioni di una quercia. Frutti di mare, compresi pesci, foche, focene e tartarughe e uccelli marini nidificanti erano abbondanti. La società dell’isola, che era suddivisa in un elaborato sistema di caste di nobili, sacerdoti e cittadini comuni, aveva, per cinque o sei secoli, raggiunto le 10.000 persone. Le risorse naturali furono divorate e iniziarono a scomparire.
“Il disboscamento per fare posto alle coltivazioni avrebbe comportato crescita della popolazione, ma anche erosione dei suoli e declino della sua fertilità”, hanno scritto Paul Bahn e John Flenley nel libro “Easter Island, Earth Island” (Isola di Pasqua, Isola di Terra). “Progressivamente si sarebbe dovuta sfruttare più terra. Alberi e arbusti sarebbero stati tagliati per costruire canoe, per accendere fuochi, per costruire abitazioni e per i tronchi e le corde necessari ad erigere statue. I frutti delle palme sarebbero stati mangiati, con ciò riducendo la rigenerazione delle piante. I ratti, introdotti per cibo, potrebbero aver mangiato i frutti delle palme, moltiplicandosi rapidamente e impedendo la crescita di nuovi alberi. Lo sfruttamento enorme delle risorse avrebbe eliminato i prolifici uccelli marini del tutto, tranne che sugli isolotti al largo. I ratti potrebbero aver aiutato tale processo mangiandone le uova. L’abbondanza di cibo fornito dalla pesca, dagli uccelli marini e dai ratti avrebbe incoraggiato una rapida crescita iniziale della popolazione umana. Il suo aumento sfrenato avrebbe più tardi creato pressione sulle disponibilità della terra, portando a contrasti e, infine, alle guerre. La mancata disponibilità di tronchi e corde avrebbe reso inutile scolpire nuove statue. Una delusione dell’efficacia della religione statuaria nel fornire alla gente ciò di cui aveva bisogno avrebbe portato all’abbandono di questo culto. Canoe inadeguate avrebbero costretto ad esercitare la pesca vicino alle coste, con conseguente calo di proteine rispetto al fabbisogno. I risultati sarebbero stati una carestia generale, guerre e il crollo dell’economia nel suo insieme, quindi un marcato declino nella popolazione.
I clan, nell’ultimo periodo della civiltà dell’isola di Pasqua, competevano per onorare i loro antenati costruendo immagini di roccia sempre più grandi, che richiesero l’uso degli ultimi tronchi, corde, manodopera dell’isola. Prima della fine del 1400 le foreste erano scomparse. Il suolo si era eroso ed era scivolato in mare. Gli isolani iniziarono a combattere per vecchi tronchi e si ridussero a mangiare i loro cani e, presto, tutti gli uccelli nidificanti.